La Sacra Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe – Ciclo B – 2020

Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40: “Dove c’è amore, c’è Dio”

Non è facile parlare oggi di “famiglia”, con tante suscettibilità, tanti modelli diversi, tante esperienze diverse, e non tutte positive … Pero sappiamo che “dove c’è amore c’è Dio”.
Purtroppo, solo giorni come questi, in questa festa della Santa Famiglia, molti predicatori prendiamo in considerazione la famiglia, il matrimonio e tanti aspetti che ne fanno parte. Tuttavia, la realtà familiare fa parte dell’esperienza di ogni essere umano, e anche dei credenti.
Oggi sarebbe il giorno, soprattutto per incoraggiare, accompagnare e pregare per tutte le famiglie, e mettere da parte i giudizi sui diversi “stili” familiari, i messaggi apocalittici sulla crisi familiare, ecc.
Questi giorni di Natale sono, per definizione, “di famiglia”. Lo sforzo di incontrarsi attorno a un tavolo, o visitare, o fare una telefonata o una videoconferenza, o fare dei regali è evidente …
E’ triste che il coranavirus ha condizionato e limitato così tanto questi incontri!
Tuttavia, sono anche giorni in cui emergono difficoltà e conflitti, latenti o nascosti in altri periodi dell’anno.
Perché una volta che si è insieme di che cosa si parla? Cosa abbiamo da dirci? Come evitiamo di toccare determinati argomenti ed evitare scintille?
Sono giorni in cui la sofferenza delle famiglie che si sono disgregate diventano più visibile, e si “tocca” che i figli siano divisi tra padre e madre.
Questi sono giorni in cui ricordiamo tristemente coloro che se ne sono andati.
E questi sono giorni in cui, chi non è vicino alla propria famiglia, per qualsiasi motivo, si sente particolarmente solo.
È vero che non tutto è sofferenza e che, quando una famiglia va d’accordo, è una delle maggiori fonti di gioia, equilibrio, sicurezza, tenerezza … ecc.
Colpisce il fatto che le parole “padre” o “madre” non compaiano mai sulla bocca di Gesù per rivolgersi a Giuseppe o Maria, né “fratello” per riferirsi ai loro parenti stretti, come era consuetudine nella cultura ebraica. Gesù chiama “padre” solo Dio. E chiede espressamente ai suoi discepoli di non chiamare nessuno Padre se non Dio.
In quanto a sua madre, si riferisce a lei solo dall’alto della croce, per affidare al discepolo amato il compito di prendersi cura di lei.
Quanto al nome “fratello” lo riserva ai discepoli, che dovrebbero trattarsi così: “Se ricordate che vostro fratello ha qualcosa contro di voi”, “fra voi siete tutti fratelli”, “chi sono mia madre? E i miei fratelli? Quelli che ascoltano la mia Parola e la osservano …
È il modo di dirci che la vera “famiglia”, quella cristiana, la sua, è molto più grande di quella che viene dai legami della carne e del sangue. Pertanto, la “famiglia” deve lasciare se stessa per mettere “il calore di casa” in questo mondo così poco domestico. E che, quindi, non è entrato nel suo progetto, di fare della propria famiglia una sorta di forza, bolla o rifugio per i tempi difficili: noi, e i nostri, quelli con cui andiamo d’accordo e non ci danno problemi … “Se ami chi ti ama, cosa c’è in te di straordinario?”
I suoi discepoli (cioè noi) sono chiamati a moltiplicare padri, madri, fratelli e sorelle, nonni e nonne nel nostro ambiente cristiano e sociale. Si tratta di estendere e far trionfare i legami d’amore, tutte quelle cose che fanno parte della vita familiare: dialogo, accoglienza, perdono, servizio, dettagli, sacrificio, ecc. Dentro e fuori casa.
Le letture sottolineano che i bambini non sono proprietà dei loro genitori. “Presentarli” a Dio (qualcosa di “simile” ai nostri Battesimi) è stato il modo in cui Israele ha sottolineato l’infinito rispetto che meritano. I bambini non sono chiamati ad essere “immagine e somiglianza” dei loro genitori, né a coprire le assenze emotive quando mancano altre persone. Anche se si deve anche affermare che i bambini non sono quelli che interferiscono nella vita dei loro genitori, averli a loro completa disposizione e talvolta esigere da loro cose che non gli corrispondono.
Ai genitori è affidato un “compito sacro”: aiutarli a conoscere e vivere Dio, a servirlo. I bambini devono crescere e diventare più forti (come dice il Vangelo di Gesù), ma anche “in sapienza e grazia”. Questa “saggezza” di cui parla la Scrittura si riferisce alla saggezza di imparare dalla vita e imparare ad affrontare personalmente le difficoltà e le sfide che la vita pone. Una saggezza esistenziale.
I cristiani (come individui, come comunità e come Chiesa) devono sostenere le famiglie, dare comprensione quando sorgono difficoltà, aprire percorsi, accogliere … ed esprimere meno giudizi e imposizioni. Prendiamo tutti molto seriamente chi vuole creare famiglia, e anche la grande Famiglia della Chiesa. Come dice un proverbio africano: “Per educare un bambino ci vuole l’intera tribù”.

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